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BENVENUTO CELLINI A PADOVA

Benvenuto Cellini il celebre orefice e scultore fiorentino, nato nel 1500 e morto nel 1571, venne a Padova nel 1537 e fu ospite del cardinale Pietro Bembo, il quale abitava nel palazzo in via Altinate n. 33, ora proprietà del Duca Paolo Camerini. Questo si rileva dalla lapide fatta apporre dal Duca stesso sul suo palazzo, e venne molto ben descritto dal chiarissimo nostro prof. Oliviero Ronchi. Dell'ospitalità avuta a Padova ne parla il Cellini stesso nella sua «Vita », libro tra i più ben scritti del 1500. Ai primi di aprile del 1537 il Cellini a cavallo, seguito da due suoi allievi, parti da Roma e giunse in pochi giorni a Padova, dove prese alloggio in una osteria.

Qui abitava un suo amico fiorentino, certo Alberto Del Bene, che lo presento al cardinale Pietro Bembo, il quale, egli conoscendo la fama ed i meriti del Cellini, gli fece la più cortese accoglienza e lo volle suo ospite nel palazzo coi due suoi allievi.

Benvenuto lascio l'osteria, e si porto coi compagni e le sue robe nel palazzo dove, scrisse il Cellini stesso, trovo per lui preparata una camera degna di un cardinale, e l'illustre Bembo volle sedesse a mensa nella sua stessa tavola. Nei giorni che rimase qui fece un medaglione col ritratto del cardinale, ma non poté eseguire altre opere perché chiamato a lavorare presso il Re di Francia. Dispiacente il Bembo di doverlo lasciar partire, volle compensarlo ancora con un altro atto generoso.

Narra il Cellini, che recatosi da un mercante a trattare l'acquisto di tre cavalli per andare in Francia, e combinato il prezzo in cinquanta ducati, torno il giorno dopo per pagarli, ma il mercante con atto assai cortese rifiuto il denaro e disse di voler regalargli i cavalli. Benvenuto capi che il dono non partiva dal mercante, ma bensì dal munifico cardinale Bembo, e non voleva accettarli, ma il mercante lo consiglio a prenderli, perché non avrebbe trovato altri cavalli a Padova e sarebbe stato costretto ad andarsene a piedi. Benvenuto allora andò a ringraziare Sua Eminenza, grato del dono perché sapeva di non aver fatto per lui cosi grande lavoro da meritare tanto generosa ricompensa.

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Ignazio Sommer (Merzio)